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Letture di gennaio | non è un #wrapup



Come uscire dalla comfort zone |1a parte


Per me gennaio rappresenta il mese della serenità e della ritrovata calma. Dopo l'andirivieni di dicembre, con tutte le festività, i fuori programma, il cibo abbondante delle cene in famiglia e del Natale, gennaio rappresenta il ritorno alle abitudini, la sfida dei buoni propositi, il ricominciare che si consolida. Mi piace molto come periodo dell'anno. Apprezzo il suo freddo pungente e gelido, bianco, che si manifesta la mattina presto, mentre in macchina costeggio i campi imbiancati per andare in negozio, a lavorare. Apprezzo i momenti passati al caldo, mentre mi affaccendo in mille cose ritrovate e da sperimentare, bevendo cose bollenti.

Quest'anno l'ho particolarmente apprezzato anche per le letture che ho fatto. Sono state molte, perché mi sentivo propensa e di buon umore. Avevo davvero tanta voglia di leggere e l'ho fatto con grande piacere. A parte Il re delle ceneri, che è un romanzo fantasy – il mio genere prediletto – gli altri sono vecchi ritorni di fiamma, o addirittura libri che non avrei approcciato con troppo entusiasmo. Pensavo di parlarne alla fine dell'articolo, ma forse è meglio togliersi il pensiero subito.

Da quando ho incominciato a scrivere regolarmente sul blog, una delle primissime cose che sono cambiate – che ho notato – è stato come il mio tempo e la mia persona venivaro completamente risucchiate dal web. Anzi, no. E' sbagliato esprimermi in questi termini. Non è il web che ci risucchia. Siamo noi persone che decidiamo di passare una parte considerevole del nostro tempo online. Connessi.

Ma connessi a cosa, connessi con che cosa?
Sono quesiti che hanno incominciato a ronzarmi in testa sempre più insistentemente, e da qui a pormi altre domande, a fare ulteriori considerazioni, il passo è stato breve.
Da quando sono più online, la quantità della roba che voglio leggere è aumentata esponenzialmente. Vedevo libri in ogni dove e di conseguenza ne segnavo sempre di più nelle mie varie liste. Talmente tanti, che per fortuna, non ero in grado di leggere e recuperare in tempi umani, e questo mi ha permesso di tornarci su a distanza di tempo. La cosa curiosa che ho notato è che buona parte di quei titoli, a mente lucida, riflettendoci… non la leggerei. Copertine accattivanti, trame piatte, banali e ripetitive, un sacco di pubblicità e di hype. Mi sono lasciata abbagliare da una buona rappresentazione social, dal chiacchiericcio che se n’è fatto, dal modo in cui è stato ripetutamente proposto e proposto e proposto.
E così, in tempo zero e senza neanche accorgermene, mi sono ritrovata non solo a volere cose che normalmente non mi attirerebbero, ma anche a mettere in moto quello stesso meccanismo che ha funzionato così bene su di me.
Ovvero, un sacco di post, un sacco di storie, un sacco di condivisione.
Ci ragiono ora e mi accorgo che non tutto quello che ho scritto era davvero interessante o necessario condividere. Mi sono accorta che ho passato buona parte di quel tempo a cercare strategie di condivisione, di infiocchettamento. Toglievo spazio alla cosa più importante: la qualità del contenuto. Ma tant’è, ormai è andato. Ho continuato a rifletterci, a leggere e cercare opinioni di chi magari stava vivendo quello che stavo provando io. Ho letto un sacco di blog in questo periodo. Non solo libri, ma anche esperienze di altri che come me scrivono delle loro passioni. Allora ho pensato: perché non dedicare la prima parte di questo anno nuovo per rallentare un pò? Uscire da certi schemi per provare a fare qualcosa di nuovo?
Magari i contenuti non saranno proprio originali, ma il modo in cui faccio certe cose potrebbero esserlo.
Così ho pensato di pubblicare meno materiale (post, articoli, foto, storie), e di leggere cose fuori dalla mia solita routine di lettura.
Ho pensato anche di provare ad approcciarmi in modo completamente diverso alla scrittura. Ho riflettuto a riguardo. E la conclusione alla quale sono arrivata è questa: amo scrivere di questo argomento. I libri sono una delle cose più care che ci sono in questo universo per me. Amo la condivisione, anche silente, di questo piccolo spaccato della cultura umana, ma pure se dovessi scrivere solo per me stessa lo farei. E allora voglio farlo nel modo più sincero possibile.

Recentemente ho letto su un blog che apprezzo tantissimo (Giap – il blog di Wu Ming), che la narrazione che diamo di noi stessi sui social tende alla semplificazione, all’appiattimento. Le nostre molteplici personalità, le sfaccettature che compongono la nostra persona tendono a racchiudersi – stringendosi – in un’unica narrazione che deve essere coerente con l’immagine che vogliamo dare di noi al mondo. Proprio al mondo, perchè nonostante i social siano virtuali, sono fatti di persone vere che socializzano tra loro. E questo può provocare diverse conseguenze. Nel mio personalissimo caso, una certa tendenza ad abboccare alle trovate pubblicitarie libresche e alla fastidiosa necessità di scrivere il meglio possibile, per più persone possibili. Mi spiego meglio. Leggere mi scatena emozioni contrastanti e dirompenti. Mi fa emozionare e commuovere, incazzare e indignare, piangere e ridere. Mentre leggo poi, penso a come potrei scrivere di quello che sento leggendo un determinato libro, di come potrei trasformarmi da lettrice a recensora, e la prima reazione quasi istantanea è lo sbattimento. Ovvero, “no, non riuscirò a scrivere di questa cosa. Non ci riesco proprio, troppo complicato”. Quindi se in buona sostanza posso dire che scrivere per me è bellissimo, posso affermare con altrettanta sicurezza che è pure un pò difficoltoso. Vorrei scrivere bene, vorrei riuscire a tradurre in parole ciò che provo e sento, vorrei anche che arrivasse a chi legge quello che veramente voglio comunicare. Non è un caso che alcuni dei libri che più amo non hanno ancora trovato un posto sul blog. Detto questo, i social facilitano questo evitamento. Scrivo più facilmente di cose più facili e semplici. E’ quasi immediato, e facilmente fruibile. Ma la cosa incomincia a non starmi più bene.

Inoltre, un altro tasto dolente è quello del numero di libri che ho abbandonato l’anno passato, un numero che è stato esageratamente alto. Stesso discorso di cui sopra: vedo che un libro è in un sacco di post, che rimbalza da una bacheca all’altra, che ne parlano in molti, penso: “wao lo prendo“, lo apro inizio a leggerlo. Mi fa cagare.
E ora? Posso dire che mi fa cagare dopo 30 pagine? Fa brutto farlo?
Magari non è proprio la cosa più carina del mondo, magari c’è modo e modo per farlo, e magari ognuno ha anche il diritto di leggere cose che a me non piacciono e sbandierarlo ai quattro venti (soprattutto su Threads), ma se è così allora io posso scrivere che un determinato libro non mi piace per tutta una serie di motivi. Senza sensi di colpa. Senza estremismi bipolari che vanno dall’adoroh all’insulto tipo leoni da tastiera. La cosa mi rincuora un pò (dando soddisfazione alla mia personalità più accomodante), però poi insorge quella che accomodante non è, e penso: caspita, però ne stanno uscendo un sacco di libri di merda ultimamente, sarà il trend del booktok? Mi dispiace, non posso farci niente, sono fatta anche così.

E allora proviamo a far convivere le varie personalità, anche su questo spazio sociale che è virtuale, per evitare di sembrare schizofrenico!. Con il nuovo anno inauguriamo la possibilità di scrivere anche di libri che non ci sono piaciuti e di quelli che sono stati abbandonati. Senza pretese di onniscienza, ovviamente.

Continua.

Nicole | Lettore Moony

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