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La vera storia della banda Hood | Wu Ming 4

 “Di Robin Hood ne parlano in molti che mai ne hanno teso l’arco”. 

Proverbio inglese





Ho letto l’ultimo libro di Wu Ming 4, La vera storia della banda Hood, edito da Bompiani nella collana Narratori italiani.

Scrivo di getto, cosa che di solito non faccio, concedendomi sempre del tempo per digerire il racconto, per metabolizzarlo, per farlo mio. Questa volta no. Perché ho parecchio tempo a disposizione, in questo particolare momento e perché non voglio dimenticare nessuna sensazione provata, e vorrei cercare di trasporre tutto attraverso le parole.

A differenza dei miei Bompiani preferiti, questo è un classico libro, tascabile – ma non troppo – con la copertina morbida, lucida e colorata, con le alette. Gli angoli sono a punta. Non è illustrato, il che è un vero peccato, perchè ci sarebbero state benissimo delle illustrazioni della foresta di Sherwood e di Nottingham, ma pazienza, magari posso sperarci in una prossima edizione.

Wu Ming 4 in 233 pagine ci consegna quella che per lui è una vera e plausibile storia del leggendario Robin Hood, bandito, ladro e bracconiere inglese, vissuto al tempo di Riccardo Cuordileone, intorno al 1100-1200 in Inghilterra.

Il romanzo si apre con un antefatto, avvenuto nel 1190, un evento tragico e sanguinoso: la strage di un folto gruppo di giudei e giudee, ad opera degli abitanti di York. Questo determinerà la caduta in disgrazia di Gisborne, capitano della guardia cittadina, e il suo arruolamento forzato come spada e pellegrino per l’imminente terza crociata. Re Riccardo si appresta a partire per Gerusalemme e suo fratello, Giovanni Senzaterra e una nutrita schiera di nobili infedeli, sono pronti a rovesciare il Cuordileone per appoggiare il fratello.

Ma questa non è soltanto la storia di re, nobili e cavalieri impegnati in grandi e nobili gesta, questa è soprattutto la storia di un gruppo di ragazzin*, che come reiett*, pover* e scacciat*, vivono ai margini della società.
E’ la storia di Little John, orfano cresciuto da John che l’ha raccolto dalla strada e lo ha sfamato e nutrito e cresciuto, insegnandoli tutto quello che sapeva sulla caccia e il bosco. E’ la storia dei fratelli Much, Ned e Edric, i figli del mugnaio che sono scappati dalla rappresaglia ingiusta e crudele degli sgherri del signore locale. E’ la storia di Maud, diventata serva della Vergine Maria, perché libera e accusata di recarsi nei boschi a parlare con le fate.
Tutt* loro hanno in comune l’appartenenza agli ultimi. Sono stati braccati e umiliati, e l’unica loro possibilità di salvezza e di sopravvivenza si trova nel fitto di una foresta, e nel loro sodalizio.
La foresta – lo sanno bene – è piena di sussurri, di fantasmi e di fate. E nel suo cuore ci vive il Diavolo. Lì loro troveranno la strada per mantenere la dignità intatta, rispettare la persona del Re (ma non le sue leggi), e ritagliarsi un posto nelle storie e nelle canzoni, canzoni che incominceranno a viaggiare veloci sulle labbra dei cantastorie, arrivando alle orecchie di molti, accendendo gli animi, i sospiri e le passioni. 

Inevitabilmente il pellegrino cavaliere, anche lui un reietto, incrocerà il suo destino con quello della banda della Foresta, e della strega, anche lui per sopravvivere e guadagnarsi il loro rispetto dovrà superare gli indovinelli di Robin l’Hobgoblin. Perchè nella foresta non ci sono leggi, ma storie, e anche Gisborne dovrà fare dono delle sue. 

Ma non solo, gli porterà anche doni e sventure, perché come ogni storia di Wu Ming 4, c’è sempre una sorta di malinconia di sottofondo che permea le pagine dei suoi romanzi. Gisborne offrirà ai ragazzi una possibilità di riscatto, oltre che tecniche e armi, ma come ogni cosa davvero importante, c’è anche il rischio, e quello riguarda solo chi lo affronta. 

Mi piacciono molto i romanzi di questo autore, anche se mi lasciano sempre una nota di tristezza dopo averli letti. Non sono mai frivoli, non sono mai scontati, e spesso non finiscono come vorrei. Ma questo mi permette di ricordarmi che così anche accade nella vita, anzi, che questo fa parte della vita. Troppo spesso i romanzi e i libri rappresentano per me una fuga, dove alla fine le cose vanno come devono andare, e a conti fatti tutto finisce bene. Wu Ming 4 questa illusione non la lascia, lascia invece, spiragli di scelta e possibilità di riscatto e di fare ancora meglio, nonostante le perdite, nonostante il dolore. 


A questo proposito vorrei scomodare direttamente il professor Tolkien, con un dialogo estrapolato dal capitolo VIII del Libro quarto delle Due Torri:


«(…) Noi sentiamo parlare di quelli che andarono avanti… e non sempre incontro a una bella fine, badate; almeno non la chiamerebbe così chi è dentro, e non fuori, una storia. Sapete, tornare a casa e trovare tutto a posto, anche se un pò cambiato(…)
Ma non sempre sono quelle le migliori storie da ascoltare, anche se magari le migliori dove finire! In che razza di storia ci siamo andati a cacciare, io mi domando e dico?»
« Me lo domando anche io» disse Frodo. «Ma lo ignoro. E questo vale per ogni storia vera. Prendine una che ami, una qualsiasi. Magari sai già, o indovini, di che genere di storia si tratta, se ha un finale lieto o triste, ma chi c’è dentro non lo sa. E tu non vuoi che lo sappia.»


Essendo un autore molto accurato, Wu Ming 4 ci lascia anche delle note bibliografiche alla fine del romanzo, che vorrei condividere anche io, e recuperarle al più presto:

  • James C. Holt, Robin Hood. 1982;
  • Jean Flori, Riccardo Cuordileone: il re cavaliere. 1999
Nicole | Moony Reader

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