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Gaga feminism | Jack Halberstam




 

Di recente ho letto Gaga feminism di Jack Halberstam edito dalla casa editrice *asterisco. Halberstam è docente di letteratura inglese comparata e studi di genere presso la Columbia University.

*asterisco dichiara sul proprio sito web, nella biografia dell’autore, che Halberstam è un “attento osservatore delle relazioni tra genere, sessualità, sottoculture, transizioni e rappresentazioni sociali”. Personalmente mi sono trovata molto d’accordo.
Gaga feminism è una sorta di manifesto queer che punta l’attenzione su quelle forme e istituzioni sociali che al giorno d’oggi cerchiamo disperatamente di preservare, ma che stanno inesorabilmente cadendo a pezzi. La cosa bella è che lo fa utilizzando i prodotti pop e mainstream che ci hanno accompagnato per buona parte della nostra vita: il cinema, la musica, le serie tv (e pure qualche libro) e l'iconica figura della cantante dalla quale il suo femminismo prende il nome.
Come esseri umani, più culturali che naturali, abbiamo impiegato secoli per affinare e abbellire certe pratiche sociali. Si pensi alla divisione tra generi e ruoli, al matrimonio, alla creazione di legami e relazioni. Alcune sono nate con scopi e fini che nel corso dei secoli abbiamo modificato e plasmato (più o meno), alcune sono venute meglio di altre. L’idea che oggi potrebbero non bastare più - o peggio non servire più, ne essere appetibili - ci manda in sbattimento. Questo sbattimento, sentito in maniera più o meno forte dalle persone e dai vari gruppi sociali, scatena reazioni diverse: alcune progressiste, altre più autoritarie, altre ancora decisamente reazionarie.

E’ proprio una certa incomprensione per alcune delle più becere risposte reazionarie che mi ha spinto nel corso degli anni a studiare e interessarmi prima alle tematiche femministe, e più recentemente a modelli più ampi e inclusivi. Tuttavia con mio grande scorno, non sono mai riuscita a indirizzarmi e identificarmi completamente con un solo modo di essere femminista, con una corrente più o meno definita. Questo mi ha portato a scoprirmi aperta e completamente priva di pregiudizi verso alcune tematiche, mentre su altre mi sono ritrovata chiusa e arroccata sulle mie posizioni estremamente conservatrici.
Questo strano duello mi spinge a cercare di leggere più testi possibili sull’argomento, cercando di informarmi continuamente. Se nel corso degli anni sono passata dalle letture e gli studi completamente incentrati sul femminismo riguardante la donna e la sua femminilità - e in alcuni casi anche su argomenti più misticheggianti e psicologici - oggi a trentacinque anni, scarto come stronzate tutte quelle narrazioni che si barricano nella divisione netta di ruoli e di generi, di naturale e sacrosanta divisione delle persone in base al loro sesso biologico, alla loro sessualità, ai loro privilegi. Ora, se mi dovesse capitare tra le mani un libro che parla dei poteri della donna e della sua femminilità, dell’incredibile forza della resilienza e della pazienza femminili, lo getterei sicuramente nell’immondizia. Questi modi di fare femminismo ci sono, hanno tutto il diritto di esprimersi, ma decisamente non fanno più per me.


Fin da piccola ho trovato strette certe convenzioni sociali. Mi sono sentita spesso, inevitabilmente, un pesce fuor d’acqua nella maggior parte delle situazioni sociali. Ho ricordi di me bambina che gestiva male la propria passione per tutto ciò che era etichettato come “maschile” e la fascinazione per le cose “da femmina”. Ho il ricordo della foto di classe della quinta elementare, in un paesino del varesotto, dove sfoggio con orgoglio un mix improbabile di abbigliamento butch e taglio da maschiaccio, con i gioiellini di plastica che tanto andavano di moda tra le compagne della mia classe, che inutile a dirlo, li portavano con molta più grazia di me. E questa dualità me la sono portata avanti per anni, anzi, credo che mai mi abbia abbandonato. La ferma consapevolezza che io sono entrambe queste manifestazioni, e che anche se fanno a pugni tra di loro, o che a volte prendano una il sopravvento sull’altra, entrambe hanno eguale diritto di convivere ed esprimere chi sento di essere. E pace al fatto che possa apparire strana, o che questo confonda e tenga lontana certa gente da me.
Tuttavia, nonostante questo strano fermento interiore, molto spesso mi sono ritrovata ad adeguarmi, a farmi andare bene certe cose, perchè in fondo era più semplice per tutti, più naturale. E mentre mi adeguavo, il mio senso di frustrazione scalpitava.
Testi come Gaga feminism li trovo estremamente illuminanti e utili per tutt* quell* che hanno difficoltà a schematizzare facilmente in categorie. Una boccata di aria fresca. Rappresenta una critica chiara e decisa a certe istituzioni e forme sociali che con il tempo ci siamo dovut* subire senza metterle troppo in discussione. Una sorta di calcio in culo al "si è sempre fatto così".

Il femminismo gaga delinea un territorio molto diverso e traccia una versione del femminismo che non si accontenta di raccontare clichè di donne che cercano l'indipendenza e diventano forti nel farlo. No, questa versione del femminismo guarda nelle ombre della storia attraverso i suoi eroi ed eroine che rifiutano a gran voce le categorie che sono state loro assegnate: queste femministe non stanno "diventando donne" nel senso di prendere coscienza, sono donne sconvenienti in tutti i sensi - annullano la categoria piuttosto che aggiustarla, la vestono e la svestono, la smontano come un motore di un'auto e poi la ricostruiscono in modo che sia più rumorosa e più veloce.

Tra i vari argomenti che tratta nel suo testo, Halbertam cerca di mantenere un filo conduttore, che è rappresentato dalla costruzione del ruolo che la società e le persone che la compongono hanno costruito e si sono auto-impost*. Dall'educazione che viene propinata a tutt*, fin dalla più tenera età su cosa sia una femmina e un maschio, analizza quelli che sono i cortocircuiti di questa narrazione, rappresentati dagli stessi soggetti che dovrebbero educare: le bambine e i bambini.
Si passa poi alla fallacia delle narrazioni femministe e progressiste, che nei loro discorsi, però, si dimenticano di tutt* l* altr*: le minoranze. E la loro ostinata nostalgia generazionale. Sembra quasi che questi modi di fare femminismo abbiano un serio problema con le generazioni più giovani alle loro. Non le comprendono e di conseguenza non riescono a dialogarci. Ma senza dialogo non c'è possibilità di salvezza, e così molte invece di innovare, rispolverano vecchie teorie maschiliste e psicologiche, ammantandole di nuovi significati.
Si passa poi alla spinosa questione dei generi e dell'identità sessuale e di come negli ultimi anni il famoso ombrello queer sia stato la salvezza di innumerevoli anime. La critica che fa verso chi denigra o semplifica certi riconoscimenti - sia all'esterno che all'interno della comunità LGBTQIA+ è spietata ma necessaria, perché ci si libera finalmente di quel finto buonismo che sembri serpeggiare in certi ambienti. Le persone sono stronze a prescindere dal loro orientamento sessuale o identità di genere. E certe dinamiche sono comuni in ogni paese. Basti citare il monopolio gay che ha imperato per decenni a discapito delle persone lesbiche, trans o bisex. Perché diciamocelo, anche tra le minoranze se sei uomo (e magari sei pure bianco), stai comunque un gradino più su. Perché anche nei margini ci sono situazioni migliori di altre, e per anni e decenni l’attenzione si è focalizzata solo su alcune caratterizzazioni. E’ pressoché recente l’ampliamento del ventaglio del fenomeno queer, tanto da far esclamare ad alcune persone che si tratta di una moda. In realtà, molto semplicemente, e finalmente aggiungerei io, l’attenzione è passata da un’unica realtà, a tutte le altre. Prima, molte realtà non venivano prese in considerazione neanche nella comunità LGBTQIA+, poi timidamente hanno incominciato a farsi sentire, e ora, grazie al web, grazie ai social media, grazie alla letteratura, molte più realtà possono confrontarsi, conoscersi, esprimersi. Per lunghissimo tempo la questione della discriminazione è sempre e solo stata incentrata sulla discriminazione dei gay, e tutt l* altr* dovevano accordarsi.

Ma tra tutti gli argomenti trattati, e oltre a quelli appena citati, due in particolare mi hanno lasciato il segno e mi hanno fatto riflettere lucidamente.
Il primo riguarda l'eteroflessibilità. E di che diavolo staremo mai parlando?
Secondo Halberstam "un buon posto per cercare tracce della fine della norma si trova proprio in quei luoghi in cui pensiamo che la norma sia più stabile".
Diamo per scontato che l'orientamento sessuale delle persone sia qualcosa di granitico, di scolpito nella pietra, e che rimarrà immutato fino alla morte. Se possiamo prendere per buono il fatto che la maggior parte delle persone si trova a proprio agio dentro al proprio orientamento sessuale, non possiamo non considerare che per un numero consistente di altre persone questi confini non esistono. Oppure esistono fino ad un dato momento, e poi diventano più labili. Queste persone si ritroveranno così nel corpo della propria esistenza a transitare, spostandosi verso diversi soggetti e verso diverse pratiche sessuali, con molta naturalezza, e poca pace per tutt* quell* che saranno ossessionat* dal volergli affibbiare a tutti i costi una qualche etichetta.
Nel discorso che fa Halberstam su questo punto, cita il lavoro di Daniel Berguer, che tuttavia critica largamente, avendo la capacità di auto-confutarsi, ma è interessante perchè a sua volta cita la psicologa Lisa M. Diamond, autrice di Sexual fluidity che espone quelle che sono le premesse dell'eteroflessibilità, o meglio, quella che è l'instabilità dell'eterosessualità. Le categorie date per assodate a quanto pare, non funzionano così bene per tutti, e sembrano funzionare ancora meno per le donne.

E' da questa premessa acquista senso il discorso fatto poco sopra circa i confini che non sembrano essere poi così definiti. Se in più aggiungiamo che per secoli i modelli comportamentali si sono fissati su strutture rigide e date per scontate di ruoli di genere da rispettare, e che i modelli da seguire venivano elaborati da uomini su uomini per uomini, si capisce bene come ora, che la bolla sembri stia per esplodere, ci sia un'enorme confusione e caotica vivacità (e tanta, ma tanta resistenza).

Ma, per sua stessa ammissione, Freud ha modellato la sua comprensione della sessualità umana sull'incarnazione maschile e ha ritenuto che l'applicazione delle sue teorie sul desiderio, gli stadi di sviluppo, i tabù e la repressione debbano funzionare in modo diverso per le donne. Freud, come è noto, ha chiesto "Cosa vogliono le donne?" probabilmente più per esasperazione che per curiosità.

Secondo e ultimo tema, e poi giuro la smetto, è il matrimonio.
La mia personalissima premessa è che considero il matrimonio una trappola. In realtà qualsiasi relazione che segua un’imposizione non naturale ma determinata da step impositivi dettati dall’esterno (e per “esterno” intendo la società, la famiglia, il contesto sociale in cui si vive, i pregiudizi).
O mio dio, sono strana, cosa ne sarà di me in futuro? Cosa farò? Diventerò bisbetica e zitella, piena di gatti e tagliandi delle offerte al supermercato? Bisbetica lo sono già, ma a parte gli scherzi, perché qualcun* dovrebbe vivere con angoscia, o senso di estraneità, le proprie necessità di relazione, di amore e socialità?
Halberstam esamina il fenomeno in modo molto schietto e divertente, aprendo un portone circa la critica che una parte della comunità queer fa a chi cerca di ottenere il riconoscimento legalmente e paritario del matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Si chiede: se questa istituzione è attualmente in crisi, piena di problemi e di criticità, perché vogliono estenderne gli effetti a più soggetti? Non avrebbe più senso impegnarsi a cercare nuove forme di riconoscimento e di diritti verso relazioni amorose, sentimentali e famigliari? Se le persone cercano queste nuove forme di relazioni amorose, sentimentali e famigliari, perché i piani alti della politica e del governo fanno di tutto per ignorarli? Ovviamente non si può liquidare un argomento così complesso con poche e semplici battute. Il matrimonio non è sicuramente solo una trappola, ne tanto meno qualcosa da buttare completamente via. Il problema è che molte persone lo bramano e vi si aggrappano, perchè è l'unico modo che hanno per vedersi riconosciute come nuclei all'interno di questa società. I diritti famigliari, di genitorialità, i benefici fiscali e pensionistici, tutte queste cose pesanti e sacrosante, purtroppo, gravitano intorno al riconoscimento o meno di questa istituzione. E' per questo che la critica di Halberstam è così puntuale: non servirebbe il matrimonio per allargare questo insieme di diritti. Servirebbero leggi e legislatori capaci e progressisti.

C'è anche da dire però, che il matrimonio rappresenta, oggi, la ciliegina sulla torta dei cliché e delle ovvietà circa lo status quo. La mia generazione, come moltissime altre (forse iniziano a scamparsela quell* della Gen Z), ha visto nel matrimonio il coronamento della vita. L'obiettivo ultimo e massimo da raggiungere assolutamente. In particolare le bambine. Le bambine sono state bombardate - e probabilmente molte vengono tuttora bombardate - con questa idea che il matrimonio sarà il loro evento decisivo. Dovranno trovare quello da legare a loro con l'anello, il ricevimento costoso, spocchioso e instagrammabile, a prescindere se quello, è quello giusto. Dopo il patrimonio ci saranno la prole e la famiglia, e una volta che si avranno ottenuto tutte queste belle cose, "la vita sarà dolce, semplice e appagante". Peccato che la realtà potrebbe essere molto diversa da come appare in questa narrazione patinata. La famiglia tanto agognata potrebbe diventare una prigione, la quotidianità una serie infinita di convenzioni e di atti che faranno di tutto per ammazzare quel poco di brio e vivacità che caratterizzava la vita della novella coppia. Ed è parecchio snervante che la maggior parte della gente consideri stran* chi tutto questo non lo desideri.

Potrei andare avanti per ore a scrivere di questo libro, pertanto mi fermo qui. Credo che sia diventato uno dei testi imprescindibili che rileggerò per mettere in moto le mie idee, per scoprirne la fallacia e la resistenza.
Non posso far altro che consigliartelo se stai cercando un testo queer e femminista meno convenzionale e più inclusivo.

Buona lettura.


Nicole | Moony Reader

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