Camilleri non ha scritto solo romanzi di Montalbano
"Mi pare vera perdita di fiato dover dichiarare che nomi e situazioni (a parte la storia che è alla base del racconto) non hanno rapporto con persone realmente esistenti o con fatti realmente accaduti. Hanno invece rapporto fra me e la memoria della mia terra"
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Andrea Camilleri
Questo è il primo libro di Andrea Camilleri che recensisco sul blog.
Andrea Camilleri è nella mia top five da una vita.
L'ho scoperto molto tempo fa grazie a un consiglio di lettura.
Prima me lo schifavo. Mi venivano in mente le sciure che si appollaiavano davanti alla tv a guardare il commissario sulla Rai. Senza nulla togliere agli attori e alle attrici dello sceneggiato (che ho pure visto), mi sembrava una cosa vastasa, una parodia di commissario, con quella tipica frase che ormai era diventata una sorta di motto alla serie: "Montalbano, sono".
E quanto mi sbagliavo.
Camilleri è uno di quei rarissimi scrittori che conoscono l'incantamento per intrappolare chi lo legge nella trama del libro. E una volta catturatə l'unico modo per uscirne è continuare a leggere la sua vastissima bibliografia.
A me, almeno, ha fatto e continua a fare, questo effetto.
Ho incominciato a leggere, centellinandoli, tutti i romanzi che avevano compre protagonista Salvo Montalbano, fino al fatidico 17 luglio 2019, giorno in cui il Maestro è volato via, per lidi più lieti. La notizia mi ha lasciato basita, perchè lo vedevo come una sorta di maestro zen immortale. Invece.
Ho deciso allora di ricominciare tutto da capo, e di leggere tutto, ma proprio tutto quello che aveva potuto scrivere, pure che doveva essere la lista della spesa.
La stagione della caccia fu pubblicato per la prima volta nel 1992, e a quanto pare, fu una delle prime opere del Maestro a essere apprezzate da un vastissimo pubblico. Non è difficile crederlo, per chi Camilleri lo ama, ma effettivamente, la sua scrittura, a primo acchito potrebbe lasciare perplessə. Spaesatə.
La lettura, a forza di queste intrusioni dialettali, non può che diventare musicale, interpretata, e di conseguenza rapire. A me è successo questo. Conosco gente che l'ha chiuso e lanciato via, lontano.
Secondo me, hanno sprecato un'occasione per ampliare i loro orizzonti letterali. Ma tant'è.
La versione qui recensita è stata pubblicata nel 2000 dalla Sellerio nella collana La Memoria (304), nelle iconiche copertine blu, sottili sottili, che si rovinano e sciupano solo a guardarle.
Per creare una sorta di rituale, dal momento che ho intenzione di portare su questo blog tutti i libri del Maestro, incomincerò l'articolo con la famosissima nota presente nelle ultime pagine, in cui l'autore o l'autrice devono far presente che si tratta di un'opera di finzione, che fatti e personaggi non sono attinenti con le cose della realtà . E confesso che è la prima cosa che leggo avendo tra le mani un libro di Camilleri.
Ma veniamo al romanzo.
La stagione della caccia ci racconta le vicende di un certo Alfonso La Matina, detto Fofò, che un bel giorno torna a Vigata per aprire la sua farmacia. Fofò altri non è che il figliolo di Santo La Matina, un uomo dalle mani benedette, dal momento che riusciva a coltivare qualsiasi specie e prelibatezza che la terra potesse offrire. Santo lavorava come curatolo della famiglia del marchese Peluso, ed è proprio questa famiglia, quella che sarà colpita da mille disgrazie nel corso del romanzo.
Da quel momento, da quel fatidico ritorno, in un vidiri e svidiri, è un susseguirsi di morti. E la narrazione si fa incalzante. Muore dapprima il padre rimbecillito del marchese, che tra momenti di delirio e momenti di lucidità , afferma che sa essere giunta la sua ora, dal momento che si è aperta la stagione della caccia. Muore il figlio rampollo del marchese, figlio agognato e tanto desiderato. Muore pazza la moglie del marchese, dopo la prematura morte del figlio Rico, di cui sopra. Morirà anche il marchese Peluso, il perno intorno alla quale gravitano le vicende dei morti e delle morte e degli scandali della piccola cittadina. Muore felice però, dopo essere riuscito a diventare padre ancora una volta (era questo per lui un desiderio irrinunciabile, tanto da andare contro a ogni riguardo verso il suo titolo e alla decenza). Moriranno anche gli zii d'America, il fratello del marchese e sua moglie, tornati in patria dopo una lunghissima assenza. E infine muore pure Nenè, sfaccendato cugino della marchesina, diventata proprietaria di tutte le fortune famigliari dopo questa catena funesta di morti. Nenè è tanto sfaccendato quanto volpone, e aveva visto nella cugina facoltosa la possibilità di sistemarsi per bene. Ma il destino lo vorrà lontano (e al camposanto) da 'Ntontò (la marchesina), che finirà invece, con lo sposare il farmacista Fofò. E sembra quasi il coronamento di un sogno, dal momento che i due da picciriddi si guardavano, Fofò già invaghito di quella piccola aristocratica, cosi inaccessibile per lui, selvatico e popolano. Il sogno durerà fino all'atto finale. Fino al momento della confessione inevitabile. La stagione della caccia è una commedia, seria e ridondante. Il punto di forza di questo romanzo - succoso e denso, come il Maestro ci ha abituato -, non è tanto capire di chi sia la mano omicida, ma la trama che vi si avvolge intorno, sempre più stretta, con i suoi contorni dapprima nebulosi, poi più chiari e netti, che ci portano inevitabilmente a concentrare la nostra attenzione sull'atto finale. E da un senso di vertigine questo cambio di prospettiva. Perché nonostante i lutti che si susseguono, non mancheranno gli accadimenti della vita quotidiana, patetici e piccoli, volgari ed eroici. Ci saranno tradimenti, amicizia, nascite e sesso. Ci sarà tempo per innamorarsi ed essere felici, e ci sarà tempo anche per disperarsi e bruciare di passione. Ma proprio non si riuscirà a capire (anche se si intravede già , come dietro ad uno vetro opaco, chi potrebbe essere la causa di tanta tragedia), il perchè di queste morti. Fino all'atto liberatorio che precede il finale.
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